Giacomo Giovannetti
Bioculture
Il percorso artistico di Giacomo Giovannetti (Senigallia, 1983) è un mash-up di pulsioni creative: dalla pittura al collage, dalla street-art alla grafica, l'artista marchigiano preleva icone e forme della cultura contemporanea occidentale, intervenendo su di esse attraverso l'aggiunta di elementi orientali e accenni grafici dalla forte valenza mistico-religiosa. Il risultato è un insieme di complesse architetture visive in cui ogni tassello, affastellato sul supporto in modo apparentemente confuso, diviene il rimando formale ad una insaziabile ricerca di vita e di armonia interiore, di cui l'arte è testimone.
La sacralità dei riti primordiali, la nascita, il corpo e la sessualità, sono solo alcuni dei temi che ricorrono nelle opere dell'autore. Giovannetti, evidentemente affascinato tanto dalla cultura pop quanto dall'antropologia e dalla teologia pagana, agisce come un dj del visuale, approfittando appieno della cultura globale e delle sue possibilità: estrapolando le icone dal proprio contesto di appartenenza e reinterpretandone il senso, l'artista si palesa come operatore eclettico, campionando elementi spesso incongrui e distanti, in un sampling continuo ed incessante in cui gli opposti si incontrano e convivono.
In questo modo l'immagine - ponte di congiunzione tra il mondo interiore dell'artista e l'esperienza collettiva universale - diviene un archivio in evoluzione, campo neutro in cui gli elementi si mescolano e si moltiplicano dando forma a contenuti sempre inediti e vivi.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Juan Eugenio Ochoa
Lirica Analitica (Serie) 2015
olio su tela, 100x70 cm
“Mi domando da dove vengano queste ombre colorate che ogni tanto accendono la mia mente, cosa mi spinge a tentare di dare forma e pienezza a ciò che a volte temo sia un puro fantasma.” (Claudio Olivieri)
Il pittore ritorna ad essere colto, si riappropria degli strumenti che gli competono, si attrezza di tecnica e intelletto per affermarsi sotto una nuova autonomia. Quella di Juan Eugenio Ochoa (Medellin, Colombia, 1983) è una ricerca per certi versi “anacronistica”, lontana dalle tendenze del contemporaneo, distante dalle ansie di visibilità e dagli ego-trips dei nostri tempi. Ad alimentare il percorso dell'artista colombiano con base a Milano è piuttosto una rinnovata attenzione per il fare pittorico, espressa attraverso l'elaborazione di dipinti su tela fedeli alle procedure tradizionali della pittura a olio.
Mettendo in risalto il carattere sfuggente dell'immagine, Ochoa crea opere in cui spazio astratto e forma umana convivono, l'uno necessario alla sussistenza dell'altro. Sezionate attraverso la sovrapposizione di tenui velature cromatiche, le immagini si palesano sul supporto come frammenti di memoria: è così che volti di donna ed elementi corporei vengono appena accennati sulla tela, registrati dall'artista per poi esser lasciati liberi di dissolversi in un'atmosfera sognante e rarefatta.
L'opera diventa in questo modo luogo di sintesi costruttivo, spazio lirico in cui la figura afferma il suo carattere mutevole, sospesa tra realtà oggettiva e ricordo. In questa interazione tra versante astratto e pulsioni figurative, l'artista diviene mediatore, poeta errante in cerca di una collocazione tra mondo immaginifico e mera realtà.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Beatrice Squitti
Una somma di addendi che si incontrano, incastrandosi nello spazio delimitato del supporto attraverso un elegante processo compositivo. Il lavoro di Beatrice Squitti è sospeso tra grafica, pittura e fotografia. Nei suoi collage su carta, realizzati mediante la sovrapposizione di frammenti visivi, l'artista crea figure e paesaggi visionari, in cui i significati sono suggeriti e cancellati lasciando l'osservatore in balia di un gioco di rimandi senza soluzione.
Ogni lavoro, un incontro tra pulsioni astratte e figurative, è una somma di elementi differenti avvicinati e mai completamente assimilati tra loro. Le parti del collage, spesso tagliate da linee immaginarie che dividono la scena o alterate da interventi pittorici compatti, si presentano come forme distinte e disarmoniche, vicine, annesse, ma mai capaci di arrivare ad una lettura finale esauriente e completa.
In questa operazione di mancata sintesi, in cui occasioni di continuità tra una sezione del collage a l'altra vengono a mancare, si inserisce l'osservatore. E' suo il compito di decifrare ogni interferenza e ogni (dis)armonia, perdendosi con piacere negli infiniti processi di interpretazione.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Tymek Borowski e Paweł Śliwiński
Galeria Kolonie 2010-2013, 220 x 190 cm, olio su tela, 2013
L'attività artistica di Tymek Borowski (Varsavia, 1984) è un minestrone in cui tecniche e spunti filosofici si mescolano lasciando l'osservatore incerto di fronte ad un quesito legittimo: di cosa vuol parlare questo eclettico artista polacco, e cosa vuol comunicarci attraverso la sua multiforme ricerca? Difficile dare una risposta sicura, se non che tutto il percorso di Borowski converge verso un'unica direzione: stimolare l'osservatore attraverso messaggi semplici e immediati, indirizzando l'interpretazione verso una presa di coscienza nei confronti della realtà, della cultura, dell'arte e dei suoi meccanismi bizzarri. Grandi tematiche, insomma, scandagliate dall'artista con un piglio sempre ironico e divertito.
Che si tratti di dipinti, video virali o Internet meme, Borowski realizza opere dall'aspetto pubblicitario e decisamente grafico, in cui le parole diventano il mezzo per veicolare slogan dal forte impatto comunicativo. Nate dalla rete e destinate alla rete, le immagini si accavallano a messaggi anonimi, neutri, ma sempre immediati e di facile lettura. Attraverso una sorta di calda razionalità (in cui il tono passionale e autorevole del manifesto si mescola a quello freddo e conciso della didascalia) l'autore, nascosto dietro tali affermazioni, invita il lettore a prendere posizione, confrontandosi con un ventaglio di messaggi perentori quanto ironici e provocatori.
Ad interessare l'artista recentemente è soprattutto la produzione di video, che occupa buona parte della sua ricerca attuale, a dispetto degli esordi più propriamente pittorici. Tra questi How Culture Works (2015), realizzato da Tymek Borowski in collaborazione con Rafał Dominik e Jakub Maiński. Il video, una pratica guida all'uso della cultura, tenta di rispondere ad una domanda da un milione di dollari: esiste un modo per far bene le cose? Esiste, soprattutto, un modo per viverle con piacere e leggerezza?
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Tymek Borowski, Life Looks Like This, 2013
Tymek Borowski, What Really Matters? 2013
Tymek Borowski, On Its Own Feet, 2014
Tymek Borowski, How Culture Works? 2015
Tymek Borowski, How Art Works? A serious movie about problems and solutions, 2012
Tymek Borowski, Determination, 2014
Agnieszka Grodzińska
Ici Re-Pose, print on desk, 2014
“Tra le persone ci sono più copie che originali”. (Pablo Picasso)
La pratica artistica di Agnieszka Grodzińska (Opole, 1984) si inserisce il quel dibattito -per certi versi abusato, ma indubbiamente attuale- sul ruolo delle immagini e sulla loro condizione nel contemporaneo. Abile nell'uso di varie tecniche, dalla grafica d'arte alla pittura fino alla creazione di libri d'artista, Grodzińska interroga il processo di creazione dietro ogni prodotto visivo, trasformando immagini preesistenti, animando il dialogo tra originale e copia, tra riproduzione e creazione.
Attingendo a piene mani dalla storia dell'arte passata, l'artista polacca reinterpreta opere, foto d'archivio e materiale documentaristico di varia natura, traslandone il senso, aprendone l'interpretazione, deviandone il valore formale verso territori spesso ambigui ed enigmatici.
In questo percorso creativo pratica e teoria si equivalgono, instaurando un rapporto di necessaria continuità tra azione e pensiero. L'artista, mediatore tra epoche differenti, nel suo approccio anacronistico alla storia dell'arte, si veste da esploratore, sondando la sensibilità del tempo, indagando i limiti della percezione e dell'interpretazione visiva. Una domanda su tutte resta, alla fine di questo percorso: l'immagine è un monumento, o (solo) un documento?
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Mariusz Tarkawian
Tribute to Araki, (ink on paper), 70x100cm, 2015
Sdraiate di spalle, distese su un fianco, coperte da un velo, nude. Sono le donne le protagoniste principali delle opere di Mariusz Tarkawian (Łuków, 1983), autore di disegni rapidi e gestuali: come un reporter, l'artista annota su carta eventi e situazioni quotidiane, catturando l'effimero e traducendolo attraverso il filtro personale dell'interpretazione. Con un segno a tratti fumettistico e a tratti pittorico (o entrambi insieme), Tarkawian realizza ampie serie di lavori, in cui centinaia di tavole interagiscono fino a creare grandi puzzle installativi che affascinano tanto per la bellezza formale delle singole opere quanto per la forza compositiva ottenuta dall'insieme.
Interessante è inoltre l'attenzione dedicata dall'artista al mondo dell'arte, inteso nella sua accezione più ampia. In questo caso Tarkawian riflette su tematiche dal carattere storico e filosofico, interagendo con autori e opere del passato, instaurando un contatto dialettico con essi: è il caso, ad esempio, della raccolta di disegni “Looking for Art” (2006 - in progress ), in cui l'artista polacco riproduce liberamente i lavori di autori affermati del panorama contemporaneo. Affine a questa è la serie “Anticipation of Art” (2008), raccolta di disegni su carta in cui Tarkawian simula possibili opere future di artisti consolidati, ipotizzando con gioco le evoluzioni espressive di ogni autore.
Tutti i lavori si presentano con grande eleganza e abilità compositiva. I disegni, soprattutto su grandi dimensioni, si impongono per i forti contrasti e per l'abilità tecnica dell'autore, capace di esprimersi attraverso un segno sicuro e controllato quanto leggero e distaccato. In questo modo l'opera diventa bellezza neutra e senza definizione: un riassunto ideale tra gioco, esercizio e fine narrazione.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Agnieszka Polska
still frame from Correction Exercises (2008)
“Ritenere che i rari eventi e le rare opere che si sono conservate del passato siano necessariamente la parte migliore e la più importante del pensiero di quei secoli, è un'idea ingenua. La loro conservazione è semplicemente dovuta al fatto che un piccolo cenacolo le ha scelte ed esaltate eliminando tutte le altre.” (Jean Dubuffet)
Agnieszka Polska (Lublin, 1985) realizza video, animazioni e fotografie. Concependo la storia dell'arte come un insieme di eventi arbitrariamente selezionati dalla cultura dominante, la maggior parte delle sue opere considera il carattere fittizio e ingannevole del passato. In particolare, gran parte dei lavori dell'artista polacca prevede una decisa presa di posizione nei confronti dell'attività critica e documentaristica: quanto conosciamo dell'arte passata, se non ciò che il sistema culturale istituzionalizzato ha deciso di conservare, ritenendo degno di attenzione? E quanto materiale, d'altra parte, non ci è mai pervenuto perché non ritenuto meritevole di considerazione e di memoria?
Partendo da queste premesse, le esplorazioni visive di Agnieszka Polska indagano i buchi neri e le omissioni della storia dell'arte, con particolare riguardo verso il periodo neo-avanguardista polacco. È il caso, per esempio, del film The Garden (2010), in cui l'artista propone la storia di Paweł Freisler, meteora dell'arte polacca scomparsa dalle scena artistiche alla fine degli anni Settanta. Similmente, Sensitization to Colour (2009) è un documentario sulla figura di Włodzimierz Borowski, performer attivo a partire dagli anni Sessanta. L'obiettivo di quest'ultimo film è quello di dimostrare la possibilità di una narrazione fallace e distorta degli eventi storici: aggiungendo dettagli, deformando la ricostruzione dei fatti, sottraendo e integrando immagini improprie, Agnieszka Polska ricorda la necessità di considerare la documentazione storica entro i limiti dell'errore, dimostrando come tempo e memoria siano aspetti labili e facilmente suscettibili di fronte alla reale visione degli eventi.
Da un punto di vista formale, ogni video si esprime con eleganza, curato con sottigliezza sotto ogni aspetto tecnico e visivo. Le immagini si sovrappongono intelligentemente, estratte da archivi storici e illustrazioni d'epoca, sottoposte ad interventi sottili e trapiantate con dimestichezza dentro nuovi contesti. Malinconico, evocativo e poetico, ogni video è così un omaggio al passato (effettivo o ipotetico); un processo nostalgico in cui rendere reale anche ciò che non è mai avvenuto.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Agnieszka Polska, Future Days, 2013
Agnieszka Polska, My Favourite Things, 2010
Agnieszka Polska, The Garden, 2010
Agnieszka Polska, The Forgetting of Proper Names, 2009
Agnieszka Polska, Sensitization to Colour, 2009
Maciej Ratajski
Bad Art Is Art Bad
L'attività artistica di Maciej Ratajski (Varsavia, 1985) si inserisce in quel solco segnato, a partire dalla fine degli anni Settanta, da autrici come Barbara Kruger o Jenny Holzer, artiste in grado di deviare da ogni necessità di rappresentazione della realtà, decise ad abbandonare i supporti tradizionali dell'arte per abbracciare tecniche più propriamente legate al mondo della grafica e della comunicazione pubblicitaria. A queste istanze postmoderne, a cui innegabilmente sembra ricondursi l'attività dell'artista polacco, si aggiunge tuttavia una forte attitudine legata alla cultura visuale post-net, alla quale Ratajski fa ricorso, aguzzando il pensiero e indirizzandolo verso una (brillante) critica nei confronti dell'immagine artistica contemporanea.
Partendo da istanze filosofiche e concettuali, Maciej Ratajski arriva a realizzare opere dalla forte capacità comunicativa; lavori che partono dal linguaggio, dalla forza della parola e dalla sua abilità nel veicolare messaggi.
Tali opere tuttavia, se da una parte sembrano chiamare in causa in prima persona l'osservatore, sottoponendogli enigmi linguistici e logici che invitano ad una interpretazione, dall'altra escludono lo stesso, limitandone il ruolo, regalandone la funzione a quella di lettore inerte di fronte a quesiti labirintici e senza soluzione. In questo modo l'evento artistico diventa una rivelazione sterile, tutt'altro che illuminante, e che soprattutto non accetta mediazioni. Una sorta di inganno visivo, dunque, che tiene in sospeso la figura dell'autore (nascosto dietro messaggi neutri e anonimi) e quella del lettore-fruitore, forzato a confrontarsi con un ventaglio di locuzioni solo apparentemente dialettiche.
Mettendo in dubbio il ruolo dell'osservatore così come la funzione dell'autore, ponendo l'accento sull'influenza esercitata sull'opera da parte del sistema mediale circostante e sulla necessità di ridefinire i rapporti col pubblico, Ratajski pone nuovo senso ad un quesito tanto antiquato quanto -mai come oggi- attuale: di cosa parliamo quando parliamo di arte?
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Luca De Angelis
Pioneer, olio su tela
160x120 cm
2014
“Dire al pittore che la natura va presa com'è, è come dire al pianista che può sedersi sul pianoforte”. James Abbott McNeill Whistler
La ricerca artistica di Luca De Angelis (Ascoli Piceno, 1980) è un omaggio incondizionato alla pratica pittorica. Frammenti del mondo sensibile vengono catturati dall'artista e trasportati sulla tela, abbandonando ogni elemento narrativo per aprirsi a situazioni più enigmatiche ed evocative.
I dipinti si presentano con dimensioni variabili, rimanendo tuttavia sempre fedeli all'intenzione principale attorno cui si è costruita l'attività dell'artista marchigiano negli ultimi anni: ricercare il senso più profondo e primigenio delle immagini, realizzando un inedito contatto tra mistero e quotidianità all'interno dello spazio delimitato della tela.
Estratti e rielaborati attraverso un processo fortemente intellettuale e poetico, questi elementi sensibili del reale (che si tratti di vedute en plein air o foto documentaristiche estratte dal web) vengono riproposti e reinterpretati sul supporto attraverso un disvelamento di significati che ne preserva la memoria ma ne apre il senso. In questo modo nature, paesaggi e personaggi enigmatici, vengono selezionati e dipinti, costretti dall'artista ad abbandonare la propria compiutezza per aprirsi a nuove possibilità interpretative.
Vivo e tangibile è inoltre l'uso del colore, dosato con eleganza in composizioni a volte più figurative, tali altre più espressioniste e “immaginative”, capaci di partire dalla figura per poi superarla intelligentemente aprendola verso nuove realtà.
Copertine settimanali di Lobodilattice, a cura di Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così: