Alfano
Odissey, 2012
tecnica mista su tela
220x200 cm
C'è un mondo bizzarro da qualche parte, fatto di Puffi, arcobaleni e mostri dalle sembianze improbabili. Nel mezzo di questo paradiso trash-pop, in cui i colori si accendono e i nonsense prevalgono, c'è Alfano (Lodi, 1981).
Artista eclettico - un po' illustratore, un po' pittore, un po' street artist – Alfano parte dal contesto dei graffiti, da cui negli anni si evolve, alimentando sempre più un approccio al disegno gestuale e alla spontaneità del tratto. I suoi lavori, dal profondo spirito ludico, sono mix esplosivi e dinamici in cui icone mediatiche, supereroi deformati e personaggi legati alla memoria collettiva, convivono alternandosi a situazioni più personali e connesse all'artista.
In questo mondo delirante, sempre surreale, grezzo e primitive, Alfano si muove adoperando carta, tele e soprattutto muri. La valenza “street” occupa infatti uno spazio importante nella sua ricerca, cartina di tornasole della sua poetica: passando dalla matita agli sprays, l'artista trasferisce sulle grandi superfici della città i suoi personaggi, popolando gli spazi urbani di forme e colori che invitano l'osservatore a prendere atto di una realtà liquida, in cui le immagini regnano e i significati si mescolano senza razionalità.
Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Leonardo Petrucci
Misandria#1,
104 x 255,5 cm,
grafite e pastello su tavola
courtesy of Galleria Operativa Arte Contemporanea (2014)
“Uomini. Insetti che si divorano gli uni con gli altri sopra un piccolo atomo di fango.” (Voltaire)
Una ricerca artistica completa, quella di Leonardo Petrucci (Grosseto, 1986), fatta di studio teorico e di competenza tecnica. Partendo da un approccio matematico-scientifico, l'interesse di Petrucci si concentra intorno a tematiche dalle forti connotazioni mistiche e simboliche, come la Geometria Sacra, l'Alchimia, la Cabala e l'Astrologia. Questi argomenti vengono affrontati e riproposti dall'artista attraverso una varietà di forme che toccano tanto la sfera pittorica quanto quella scultorea, installativa, e perfino digitale.
Partendo da tali premesse, decisamente concettuali, la realizzazione di ogni opera diviene pertanto l'episodio ultimo di un processo creativo articolato, anticipato sempre da una meticolosa e sistematica ricerca teorica, fatta di osservazioni e approfondimenti sugli oggetti di studio che l'artista decide di indagare.
Interessante anche l'approccio al disegno da parte dell'autore. A tal riguardo sembra evidente la volontà di omaggiare la tradizione artistica classica toscana (dalla quale Petrucci proviene), attraverso la realizzazione di disegni a matita impeccabili, attenti alla dimensione anatomica, e soprattutto sempre motivati da una necessità scientifica di fondo.
Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Annabella Cuomo
Il primo amore non si scorda mai#1
tecnica mista su carta, 20 x 30 cm
2014
“Voglio un mondo in cui la vagina sia rappresentata da un taglio crudo e onesto, un mondo che provi sentimenti per le ossa e i contorni, per colori crudi e primari, un mondo che abbia paura e rispetto per le proprie origini animali.” (Henry Miller)
Passato e presente che convivono, si scambiano di posto, accorciando le distanze fino a farsi tutt'uno. È una danza romantica di reminiscenze, quella che nasce dalle opere di Annabella Cuomo (Brindisi, 1985), artista raffinata che sviluppa la sua ricerca sul recupero e la rielaborazione di immagini personali passate. Attraverso la riscrittura di vecchie foto in bianco e nero, l'artista indaga i limiti della nostra coscienza, messa alla prova dallo scorrere corrosivo del tempo e dalla sua azione fagocitante.
Elegante e accurato, l'intervento della Cuomo si realizza principalmente su foto di famiglia, reperti d'infanzia sottratti alla propria storia e messi a nudo per divenire archetipi universali di una memoria condivisa. Su tali frammenti visivi l'artista agisce mediante l'uso di grafite e pennarelli. In questo modo chiazze ed ombre scure invadono la composizione, volgendo ogni interpretazione verso territori ambigui e a tratti inquietanti.
Risultato simile, ma realizzato mediante soluzioni tecniche diverse, è quello raggiunto dalle sovrapposizioni analogiche di fotografie: in esse immagini paesaggistiche e figure di persone si incontrano e coesistono nello stesso scenario, dissolvendosi l'uno dentro l'altro fino a diventare visioni spettrali di una storia lontana, passata, o forse mai avvenuta.
Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Gabriele Arruzzo
Proposta per il nuovo stemma della Repubblica Italiana, 2011
smalto e acrilico su tela, 180 x 180 cm
Immagini che si intersecano e sovrappongono, cariche di significati, estratte da contesti altri per convergere in una grande allegoria di cui l'artista è compositore. La ricerca pittorica di Gabriele Arruzzo (Roma, 1976) è un continuo mash-up di figure ed icone della Tradizione: che si tratti di elementi colti o pubblicitari, citazioni di opere di artisti del passato o frammenti visivi della cultura contemporanea, ogni componente viene rifatto, rimodellato e ricontestualizzato dall'artista attraverso una pittura fortemente grafica e ricca di cromie.
Mediante una tecnica accurata e rigorosa -basata sull'uso di smalti e acrilici su tela- i lavori di Arruzzo si presentano in questo modo come grandi enigmi visivi, eleganti, puliti e sempre marcatamente figurativi (sorprende a riguardo la minuzia pittorica attraverso cui ogni dipinto viene eseguito, elaborato con dedizione e meticolosa precisione).
E se il mistero rinascimentale fa capolino nei suoi quadri -tra solidi platonici e giochi di prospettiva-, se la fascinazione per la pittura tardo-ottocentesca è evidente nella ripresa di un raffinato simbolismo gotico e delle forme liberty, tutto viene condensato in una dimensione di dialogo diretto e immediato tra autore, opera e osservatore.
Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Anna Capolungo
Periferia (TorinoNowhere 5), 2014
tecnica mista su carta applicata su tela
180 x 180 cm
“Non ho nulla da dire. Solo da mostrare. Non sottrarrò nulla di prezioso e non mi approprierò di alcuna espressione ingegnosa. Stracci e rifiuti, invece, ma non per farne l'inventario, bensì per rendere loro giustizia nell'unico modo possibile: usandoli.” (Walter Benjamin, Das Passagen-Werk)
Un mondo enorme, silenzioso, in perenne movimento quello delle periferie italiane, ridotte spesso a cumuli di cemento, memorie di un passato industriale folle, guidato alla cieca da una politica vile e menefreghista. Luoghi nati senza amore, senza cura per chi doveva viverci, deserti urbani che racchiudono i segni del tempo devastato in cui viviamo. E allora che fare? Parlarne, amare quei posti perduti, recuperando quella bellezza che in fondo è sempre stata lì, e non se n'è mai andata.
La ricerca pittorica di Anna Capolupo (Lamezia Terme, 1983) è tutta in questa volontà: giocare con la memoria dei luoghi abbandonati della città, rintracciarne la forza espressiva e la carica poetica, rievocando fantasmi e ricordi di posti apparentemente senza identità. Fabbriche, cantieri, discariche e luoghi in disuso sono i soggetti preferiti dall'artista che, con la dedizione di una paesaggista d'altri tempo, ritrae i panorami deturpati della nostra contemporaneità.
Portata all'attenzione della critica italiana grazie alle serie TorinoNowhere (2014) – studi sulle aree suburbane della città di Torino -, l'indagine artistica di Anna Capoluogo è principalmente una ricerca sul segno, sul gesto, e sulla materia. Acrilici, tempere e carboncini si sovrappongono nei suoi dipinti, riportando alla luce le ombre e i colori vibranti degli spazi metropolitani. In questo modo la pulsione grezza e graffiante dell'artista si fonde ad una consapevolezza tecnica giovane ma già matura, capace di esaltare con abilità il movimento (e il mutamento) dei luoghi cittadini, il loro divenire, il loro dissolversi nello spazio, e forse anche nella memoria.
Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
“La pittura è un universo-linguaggio e sotto questo aspetto l’operare sulla pittura è indagare, catalogare, raccogliere frammenti e segni e dare a tutto questo materiale una struttura logica (o arbitraria), che ci metta in condizione di condurre conversazioni (registrazioni) simultanee, che poi nessuna macchina (metodo estraneo al linguaggio in questione) sia in grado di classificare e risolvere in modo definitivo.”
(Gastone Novelli)
Artista prolifico e dalla forte attitudine sperimentatrice, Massimo Nota si inserisce in quella vasta generazione di pittori italiani prestati ai linguaggi dell'illustrazione, che trovano tanto su carta quanto su tela una felice capacità espressiva. Affascinato dalla spontaneità del gesto, Nota realizza dipinti su ogni tipo di materiale: che si tratti di tavole di legno, lastre di metallo, fogli di cartone o tela, ogni superficie sembra prestarsi alla sua creatività. Su di esse il pittore costruisce storie intriganti, dinamiche, ricomponendo – attraverso la pratica del collage – e riscrivendo, frammenti visivi tratti dal mondo esteriore (foto, ritagli e stracci di giornale).
Partendo da premesse pressoché informali, il risultato della sua ricerca si presenta come un canovaccio di dipinti che interrogano continuamente il soggetto, figura umana quasi sempre disturbata da interferenze visive, pennellate scure che ne cancellano i riferimenti dissolvendo ogni elemento all'interno di una composizione astratta. L'aggiunta di segni, lettere, crittografie e punteggiature, contribuisce inoltre a conferire irrequietezza al lavoro, creando un affascinante contrasto tra l'urgenza espressionistica del gesto e l'eleganza (leggerezza) di una poesia sottesa.
Alex Urso
Se fosse una canzone, suonerebbe così:
Lorenzo Di Lucido
Teoria delle catastrofi
mista su tela
140x100 cm
2014
“Se è vero che nell'arte è stato fatto tutto quello che poteva essere fatto, allora possiamo tornare di nuovo dipingere quadri.”
(Ryszard Wozniak)
Non ha mezze misure la pratica artistica di Lorenzo Di Lucido (Penne, 1983), votata con ostinazione al medium pittorico. Immagini dalla forte carica introspettiva caratterizzano la sua ricerca: figure silenziose e sommesse popolano le superfici dei suo dipinti, luoghi da scoprire passo a passo in un percorso interpretativo che annuncia e rifiuta ogni possibilità di lettura.
Contraddistinta dall'uso di tecniche tradizionali (olio su tela), la pratica di Di Lucido è costantemente giocata su un filo sottile, quello che collega astrazione e figurazione. Pur sottratto quasi sempre da un repertorio iconografico preesistente - disegni, fotogrammi cinematografici, immagini d'archivio - ogni soggetto ritratto dall'artista viene infatti reinterpretato attraverso una raffigurazione che ne sfuma o cancella i dettagli, focalizzando l'attenzione su significati specifici che vanno oltre la scena rappresentata. In questo modo il quadro diventa un contenitore di emozioni in divenire, in cui ogni messa a fuoco è ostacolata da un'atmosfera opaca e senza soluzioni definite.
Tra cancellazioni, coperture ed errori (o presunti tali), ogni dipinto si presenta come terreno anonimo, tabula rasa su cui si ammassano i ricordi e costruiscono le storie. La prassi artistica di Di Lucido è per questo caratterizzata da un senso di continua precarietà, che spinge l'osservatore non più ad assumere una posizione cercando una chiave di lettura adeguata, ma a prendere consapevolezza dell'immagine pittorica come immagine “problematica”, la cui interpretazione vive in un limbo irrisolto e si appaga nel dubbio.
Alex Urso
Alessandro Ruggieri
Nothing im responsible for and for I die
3 digital bottom left analogue photo (2012_2014)
“Noi probabilmente non ce ne accorgiamo,
ma abbiamo la testa piena di relazioni.”
(Luigi Ghirri)
Immagini estratte da contesti diversi, associate l'un l'altra evidenziando affinità e discordanze tra vari frammenti del mondo. La ricerca artistica di Alessandro Ruggieri è caratterizzata da una esigenza costante: quella di collezionare reperti visivi sottratti al reale e messi in relazione tra loro, fino a comporre un puzzle estetico dall’atmosfera dark e sentimentale.
Artista marchigiano (Macerata, 1984) con base a Londra, Ruggieri attinge in maniera cleptomane dal mondo sensibile, rubando immagini, fotografando in continuazione, quasi a rendere la prassi artistica un evento di routine meccanico e spontaneo: che sia attraverso macchine analogiche compatte o telefoni cellulari, ogni azione fotografica si manifesta in tutta la sua precarietà lo-fi, salvaguardando tuttavia l'esigenza “documentaristica” del gesto.
Soggetti vari, spesso improbabili (insegne luminose o cartelli stradali), vengono catturati e posti in sintonia con ulteriori elementi, rendendo ogni immagine un insieme di interferenze diverse, una summa tra opposti. La memoria del fotografo diventa in questo modo “archivio”, contenitore visivo in cui i significati si sedimentano e le combinazioni prendono forma.
Alex Urso
DEM - Busó con civetta (2013)
acrilico e china su carta 25 x 35 cm
Quello di DEM è un mondo surreale: creature oniriche e personaggi bizzarri popolano i suoi lavori, invitando l'osservatore ad entrare in contatto con situazioni labirintiche costantemente sospese tra reale ed immaginario.
Attivo nella scena street-art italiana dagli anni novanta, DEM è un artista multiforme, capace di passare da un medium all'altro (pittore, scultore, illustratore e regista) restando tuttavia sempre coerente con l'elemento distintivo che caratterizza la sua ricerca: creare ambientazioni soprannaturali in cui il tema di fondo è la costante ricerca di un equilibrio – forse impossibile – tra uomo e ambiente.
Che si tratti di tele, disegni o muri dipinti, infatti, tutta la ricerca artistica di DEM è guidata da una continua attenzione verso tematiche legate alla natura, esaltata in ogni sua forma. Per tali ragioni ogni opera dell'artista lodigiano sembra caratterizzata da una incessante tensione: quella tra una funzione altamente estetica, manifestata attraverso l'uso di colori vivaci e la creazione di composizioni sempre armoniose e regolari, e una funzione critica, perché volta ad investigare i limiti del rapporto tra uomo e ambiente circostante.
Figure pagane, riferimenti sciamanici e atmosfere sognanti riempiono le scene, creando un insieme di simboli in cui ogni componente è l'elemento di un linguaggio visivo affascinante ed arcano. Un mondo di metafore, quello costruito dall'artista, che coincidono tutte verso una sola e unica interpretazione: la natura è über alles!
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
DEM - Kukerocongufo (2013) china, acrlico e terra su carta 24 x 30 cm
DEM - Sourvakari (2013) china, acrlico e terra su carta 25 x 35 cm
DEM - Sourvakari con aquila (2013) china, acrlico e terra su carta 25 x 35 cm
DEM - Trois Fräres (2012) china, acrlico e terra su carta 24 x 30 cm