Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Andrea Barzaghi.
Da dove vieni?
Sono nato nel 1988. Cresciuto a Merate, un piccolo paese della Brianza, dopo il Liceo Artistico, ho conseguito la laurea triennale all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Tramite il progetto Erasmus mi sono trasferito a Norimberga, in Germania, città nella quale ho concluso il mio percorso di studi e dove, ancora adesso, vivo e lavoro.
Cosa fai?
Credo di potermi definire pittore. La pittura, a mio avviso, non è da intendersi però come un semplice medium, bensì come un modo specifico di relazionarsi all’arte, un’impostazione peculiare di pensiero nel rapporto artista-opera. È un’attività intellettuale che si cela dietro un’azione tecnica, materiale; è il collegamento tra il mondo intellegibile e il mondo imperscrutabile, quello esterno, pubblico e quello intimo, soggettivo. Mondi in continua evoluzione e movimento, a sé stanti ma anche indipendenti l’uno dall’altro, sempre e comunque in perpetuo dialogo. Cerco quindi continuamente di allargare l’orizzonte tecnico, e di conseguenza concettuale, del mio lavoro con l’obiettivo di rendere questa comunicazione più forte, più stabile, più precisa.
Dove stai andando?
Seguendo le contrazioni e gli spasmi del mio percorso artistico, cercherò probabilmente di indagare elementi rimasti sino a questo momento distanti dal mio fare artistico, come lo spazio e il tempo, nel tentativo di sondare (e superare) i limiti di quella che finora ho concepito come pittura. Voglio evadere i quattro lati canonici del dipinto.
Cosa vuoi?
I miei lavori parlano, per così dire, della problematica umana intesa come insieme di rapporti tra unità contrapposte, tra individuo e società, rappresentabile e irrappresentabile. L’Uomo è sempre stato un ampio bacino d’ispirazione per la mia ricerca artistica.
Non cerco di spiegare ma cerco di porre, a me stesso come all’osservatore, quesiti o dubbi in modo da tenere il dialogo sempre aperto e dinamico.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
PER APPROFONDIRE
Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Lucia Veronesi.
Da dove vieni?
Sono nata a Mantova quarant’anni fa. Ho studiato Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, e nel 2003 mi sono trasferita a Venezia: nonostante non l’abbia mai considerata la mia città definitiva, ancora ci vivo e lavoro. A Venezia se sei un artista non resti solo, interagisci con altri artisti, si creano facilmente legami solidi di confronto e amicizia; forse perché è una piccola città. Nel 2011 ho fondato insieme a un amico Spazio Punch, uno spazio no profit che ho co-diretto fino al 2015.
Cosa fai?
Lavoro con il video, il disegno, il collage, l’installazione e spesso contemporaneamente su più fronti. Il punto di partenza è sempre la pittura, il mio modo di guardare le cose, poco importa che poi la forma finale di certi lavori non sia olio su tela.
Cerco sempre di allontanarmi da un certo tipo di approccio alla pittura, di prenderne le distanze, di non essere tanto ossessionata dal cosa dipingere ma cerco di focalizzarmi sul processo, affrontando tutto in una maniera più libera e leggera. In un certo senso, dipingo anche quando uso la videocamera, quando lavoro alle piccole scatole di cartone che uso come set per i video, come soggetti per fotografie e come opere tridimensionali. Lo stesso succede nei video, dove la tecnica dello stop motion unita a quella del collage esalta la manualità e il gesto pittorico.
Dove stai andando?
Posso dirti cosa sto facendo: oggi mi perdo in continuazione, sbaglio, arranco e inciampo, perdo l’equilibrio, ma ho capito che per me è una condizione quasi necessaria per sviluppare il lavoro. E poi l’arte è complicata e profonda, le intuizioni arrivano con il tempo, lavorando e meditando per anni. Ogni volta in studio è come se ci fossero artisti molto diversi che lavorano contemporaneamente. Se ci penso è come fare un collage: un continuo togliere, sovrapporre, ritagliare, ricomporre, stratificare immagini per ricreare altre immagini.
Cosa vuoi?
Vorrei essere incisiva, creare qualcosa di veramente potente. Vorrei fare un film. Vorrei un po’ più di fiducia. Vorrei pensare meno. Vorrei riuscire a riuscire a fare un passo alla volta senza pensare a tutta la strada ancora da percorrere. Fare l’artista oggi è per privilegiati. Vorrei che non lo fosse più. Vorrei che fare arte fosse un lavoro normale. Vorrei che fosse abolita la parola “statement”. Vorrei che si smettesse di dover essere sempre mediati da altri per avere un riconoscimento. Vorrei poter contattare un gallerista senza che mi si dica che non sta bene farlo.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Le cose entrano in scena sempre al momento giusto, 2015 video HD, colore, muto, 4' 31''
Paesaggio senza titolo #5, 2014 6' 33'', HD, Colore, muto / colour, mute
Paesaggio senza titolo #6 (nel mio tempo), 2014 Video HD, animazione, colori/bn, 4' 00''
PER APPROFONDIRE
Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Eracle Dartizio.
Da dove vieni?
Sono nato nell’ottantanove, a Luglio, in provincia di Milano, a Vaprio D’Adda, un paese che ha meno abitanti di un centro commerciale la domenica.
Cosa fai?
Con l’arte colmo un vuoto. Ma un vuoto mio, che interessa a me, gli altri vengono dopo. Il pubblico viene dopo, la galleria viene dopo, il collezionista viene dopo. Eracle viene prima di tutto, anche di me stesso, che per superarmi mi sono dato un altro nome. All’anagrafe non mi chiamo Eracle
Dove stai andando?
La mia ricerca è rivolta al cielo, senza nessun significato ecumenico-cristiano del termine. Subisco la fascinazione poetica di oggetti astronomici e fenomeni cosmici e cerco di tradurli visivamente. Quindi l’intento è più estetico-rappresentativo che concettuale, se proprio volessimo trovarci un concetto, le mie sculture testimoniano una presenza assente, qualcosa che è ma non c’è, quanto meno non alla portata dei nostri sensi diretti. Insomma, hai mai visto una stella che muore? Ho iniziato ragionando a terra, scolpivo pozzanghere, successivamente mi sono concentrato sul riflesso, sulla porzione esatta di cielo che contengono. Ogni pozzanghera è un potenziale universo, un’imperfezione che genera vita.
Cosa vuoi?
Mi tranquillizza pensare che siano belle tanto da andare oltre o sprofondarci dentro, le mie opere intendo. Quindi vorrei che ci fosse bellezza, ma "sul bordo del bicchiere per prendere la medicina amara". Arte come superficie e Arte come taglio netto nella superficie, pretesto per riflettere e riflessione stessa. Vorrei essere questa verticale, che punzecchia lo sguardo, catalizza l’attenzione e infine fa pensare. Non ho intenzione di definire il soggetto di questo pensiero, l’opera deve rimanere sempre e comunque aperta, aperta alla lettura di chi la guarda. Di certo più pensiero ho dedicato ad un lavoro e più pensiero quest’opera contiene e trasmette. Mi piace spesso pensare a Fernando Pessoa, quando dice “sono la profondità del pozzo, senza le pareti del pozzo”. Ecco, vorrei che la mia arte fosse la profondità del pozzo, senza le pareti del pozzo. Che abbia al massimo pareti di vento, che fosse una giannetta gentile, fresca ma discreta. Non mi interessano venti forti, tornado o rivoluzioni, anzi, credo che ad oggi, nell'era della provocazione, l’unico atteggiamento veramente rivoluzionario per l'arte sia la gentilezza.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Ilaria Clari.
Da dove vieni?
Sono nata a Torino nel 1985 e ho trent'anni, quasi trentuno. Ho fatto il liceo artistico, poi ho continuato gli studi ma non in campo artistico. In un certo senso, mi posso definire autodidatta.
Cosa fai?
Principalmente disegno perché disegnare è il mio modo di comunicare. A volte mi riesce più semplice esprime un concetto disegnandolo piuttosto che parlando. Parlare con le mani è molto interessante ed è come sentire qualcuno con un bel timbro di voce.
Dove stai andando?
Una destinazione precisa non ce l'ho soprattutto se metaforica. Spero che ovunque mi porti questa Parigi-Dakar artistica, mi renda più grande (e riconosciuta, anche!). Per il momento sono qui e vivo il presente come mi si presenta.
Cosa vuoi?
Quello che voglio è arrivare attraverso quello che faccio. Esprimo dei concetti, delle sensazioni, delle emozioni e voglio che chiunque riesca a coglierli e, di conseguenza, a leggermi.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Andrea Fiorino.
Da dove vieni?
Sono nato ad Augusta, in provincia di Siracusa, nel 1990. Vivo da cinque anni a Milano, ho studiato Grafica d’arte e Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Cosa fai?
Dipingo, disegno, ritaglio, assemblo e modello, a volte cucio. Mi piace molto focalizzare sulla narrazione. Il lavoro nasce spesso da un'idea, da una storia che sento o che ho vissuto in prima persona. Subito dopo decido di metterla in “scena” come un’allegoria, utilizzando spesso la mia immagine. Il medium che utilizzo di più è la pittura, solo nell'ultimo periodo mi sto avvicinando alla scultura.
Dove stai andando?
Sto andando alla ricerca di un'identità.
Cosa vuoi?
Vorrei riuscire ad avere una voce, in parte questo me l’ha permesso la pittura: è stata la mia evasione, da un quotidiano che non ritenevo mio. Quando ho capito cosa volevo realmente dire, mi sono lasciato trasportare dall’istinto, e adesso sono qua. Ho cercato un mondo illusorio, dove le figure che dipingo, statiche e ieratiche, abitano molto spesso un ambiente naturale, finto e illusorio. La mia intenzione è trasmettere il “perturbante”, un'emozione che spaventa e affascina allo stesso momento.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Gianluca Quaglia.
Da dove vieni?
Sono nato a Magenta (MI) nel 1978 e da molti anni vivo a Milano. Mi piace definirmi un autodidatta, anche se ho frequentato per qualche anno la scuola d'arte applicata del Castello Sforzesco di Milano. Non ho avuto veri e propri Maestri e questo forse non mi ha consentito di raggiungere alcune tappe decisive del mio percorso artistico nei tempi brevi, come invece è capitato ad altri artisti. Questo però, mi ha permesso di spaziare e cercare con grande libertà.
Cosa fai?
Mi sento un “cacciatore di immagini”, parafrasando il titolo di un bellissimo libro che esplora il lavoro di Joseph Cornell, un artista che amo. Mi rivedo perfettamente in questa definizione, perché mi ritrovo quotidianamente, a volte anche inconsciamente, a cercare immagini per costruire immaginari. Nel mio lavoro intervengo sulle immagini mostrando le possibili connessioni e producendo una conseguente distanza. Sono interessato all’apertura di una dimensione spazio temporale e visiva, piuttosto che all’idea di creare un luogo chiuso, definito.
Dove stai andando?
In questi ultimi anni ho realizzato piccole opere che stanno all’interno di una cornice, ma anche grandi installazioni che occupano decine di m², perché il mio lavoro va dove può espandersi. Ho necessità di lavorare in spazi dinamici e con persone stimolanti, infatti in queste settimane sto sviluppando importanti progetti per la seconda metà di quest'anno e per il 2017 e sono molto contento di poterli fare con la mc2 Gallery di Milano e la MUST Gallery di Lugano. Ho trovato in queste due gallerie persone che credono nel mio lavoro e questo è per me fondamentale.
Cosa vuoi?
Se devo dirti cosa voglio fare con il mio lavoro, senza dubbio ti rispondo accogliere, predisporre un ambiente per chi ha il desiderio di sentirsi parte integrante dell'opera d'arte, senza nessun obbligo o indicazione specifica di movimento da parte mia. Ognuno, all'interno degli spazi che ripenso, è libero di sentirsi a proprio agio.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Vera Portatadino.
Da dove vieni?
Sono nata e cresciuta in provincia di Varese, tra il lago e il bosco, tipologia di paesaggio che in qualche modo ha inciso nella mia formazione. L’esplorazione della natura, la sua ricchezza seducente e la sua mutevolezza hanno giocato un ruolo fondamentale nella mia crescita come individuo e come artista. Ho 32 anni e dopo gli studi classici al liceo, mi sono prima trasferita a Milano per frequentare il triennio di Arti Visive alla NABA, e in seguito mi sono spostata in Inghilterra, a Londra, dove ho conseguito un Master in Fine Art, presso il Chelsea College of Art and Design. Quest’esperienza è stata senza dubbio un passaggio fondamentale che, nello specifico, ha maturato in me la consapevolezza di essere una pittrice, oltre ad avermi donato l’opportunità di vivere e confrontarmi in un clima internazionale e vivace. In seguito, sono ritornata in Italia per motivi non strettamente legati alla professione e, inizialmente, con la prospettiva di ripartire dopo poco. Nel 2014, nuovamente a Varese, mia città natale, ho deciso di rimboccarmi le maniche e fondare Yellow, un artist-run space dedicato alla pittura, che è anche il punto di unione tra le due esperienze, quella italiana e quella londinese.
Cosa fai?
Sono un’artista pittrice, sebbene in passato abbia utilizzato molteplici linguaggi. La pittura è diventata il primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera: un modo di scoprire e percepire il mondo, una strada per tradurlo e suggerirne una prospettiva. Recentemente ho cominciato a esplorare la ceramica, grazie alle iniziative di Lorenza Boisi e ho intenzione di riprendere a lavorare con le tecniche di stampa antiche e moderne, con l’obiettivo di realizzare edizioni e libri d’artista.
Considero parte della mia pratica artistica, anche il mio lavoro a Yellow, la scrittura di testi, la progettazione e messa a punto degli eventi e delle mostre… Sempre in una dinamica di passione totalizzante per il fare pittorico. Yellow è una tela tridimensionale, un poco più grande del solito, in cui entra in gioco anche il lavoro di altri artisti, così come l’aspetto relazionale con essi e con lo spazio.
Dove stai andando?
Fino al 2015 lavorato a una serie di quadri ispirati a un viaggio compiuto in Tanzania, dove l’estrema meraviglia della natura è al contempo teatro della più spietata e inesorabile morte. Questi dipinti vogliono raccontare l’aspetto seducente della natura, insinuando la minaccia, spesso impercettibile, di una fine. Recentemente ho cominciato un ciclo di opere che vanno a pescare nell’immaginario legato al mito, come Argo Cento Occhi, l’Argo Panoptes del mito greco e delle metamorfosi di Ovidio, fino al 10 aprile in mostra al Museo Bodini di Gemonio, nella collettiva Il Nocciolo Della Questione. Argo è un gigante che “tutto vede” e che non dorme mai. Mi ha affascinato l’idea di un essere continuamente stimolato da ciò che gli sta intorno. Gli occhi possono diventare delle ferite e la bellezza che lo circonda un’arma a doppio taglio. Nella prima versione del quadro, Argo si scopre in un paesaggio mutevole e presagisce il destino che lo attende nell’abbozzo di piuma di pavone. Di Argo, sto lavorando a una serie e contemporaneamente sto lavorando ad alcune foreste, anche in vista di una prossima collettiva a Villa Contemporanea di Monza, sul tema della selva.
Cosa vuoi?
Mi ha sempre affascinato il rapporto con l’alterità, con il paesaggio e con la natura, scenari privilegiati della performance più antica e potente del mondo: l’esistenza. Quello che mi ossessiona maggiormente della realtà è la sua imprescindibile contraddizione, la bellezza minacciata dalla sua precarietà, lo splendore e la sua fine, la godibilità e la drammaticità della vita. Delle “banalità” che sono l’esperienza più condivisibile e comprensibile nella storia dell’uomo e che suscitano tutto il mistero dello stare al mondo. Le mie opere cercano di fermare sulla tela dei momenti evocativi di questo mistero e di questa fascinazione. Sono paesaggi e situazioni, in bilico tra figurazione e astrazione, in cui qualcosa si crea e si disfa contemporaneamente.
Anche il mito racconta delle esperienze elementari e comuni nella storia degli uomini, delle verità, a mio giudizio, sempre estremamente contemporanee e meritevoli di interesse. Voglio qualcosa di vero per me, per quanto “banale” sia, che mi desti, mi nutra e mi interroghi, e che forse possa dire o domandare qualcosa anche degli altri.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Dario Maglionico.
Da dove vieni?
Sono nato a Napoli nel 1986. La mia formazione è scientifica, dopo il diploma ho conseguito la laurea specialistica in Ingegneria Biomedica presso il Politecnico di Milano. Da sempre al percorso di studi ho affiancato la pratica pittorica e il disegno. Ora vivo e lavoro a Milano.
Cosa fai?
Dipingo. È il tempo che dedico a me stesso. Mi piace regalare ad ogni passaggio il suo spazio e vivere il processo che porta al risultato finale. Non vivo la furia creativa come un getto irrefrenabile ma piuttosto come un flusso che rallenta e accelera adattandosi al corso degli eventi necessari alla realizzazione del lavoro. Il lavoro si evolve, non è mai fermo sull’idea iniziale, ad un certo punto è finito. Prevalentemente osservo e scelgo.
Dove stai andando?
Non mi interessa dove sto andando, non cerco di forzare l’attenzione altrove, mi interessa il presente. Ora dedico più tempo ad osservare il buio, mi permette di guardare la luce in disparte, lo vedo come un invito a chiedermi dove sono.
Cosa vuoi?
Sulla tela cerco un’evasione momentanea, una soggettiva e mutevole percezione dello spazio e del tempo, la realtà reputo sia una creazione arbitraria della mente. Viviamo in modo fugace, lasciando nel flusso tracce di vita. Con la mia pittura tento di fermare questo flusso. Nella sospensione metto in dubbio la nostra conoscenza e cerco di indagare metaforicamente nuovi luoghi della coscienza. Gli interni e le figure che ritraggo sono ciò che sono stato o potrei essere e la pittura è il mezzo più spontaneo che ho per cristallizzarlo e analizzarlo.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Carlo Alberto Rastelli.
Da dove vieni?
Tutto ebbe inizio ventinove anni or sono, a Parma: città dove, a onor del vero, tra gli affreschi del Correggio e del Parmigianino, non è difficile sviluppare un precoce amore per l'arte. La mia infantile e compulsiva esigenza di imbrattare fogli con pastelli e pennarelli ha trovato nel locale Liceo Artistico prima, e all'Accademia di Brera poi, la sua logica conseguenza. Il percorso accademico, articolato in triennio e master specialistico in Pittura, è stato accompagnato da esperienze rivelatesi per me fondamentali nell'intraprendere la strada della pittura: tra tutte, il lavoro di assistente presso lo studio dell'artista Dany Vescovi, e il soggiorno, tramite il programma Erasmus, a Riga, dove ho frequentato l'Accademia di Belle Arti.
Cosa fai?
Quello che ho sempre fatto, con la sola differenza che ora imbratto tele anziché fogli, utilizzando colori a olio e pennelli a discapito dei cari e vecchi pastelli. Nella mia pittura ho volontariamente convogliato la mia passione adolescenziale per il mondo del fumetto, cercando di comprimerne, in un'unica immagine, la dimensione narrativa: non più, dunque, una storia narrata attraverso le immagini, ma un'immagine che suggerisce molteplici storie.
Dove stai andando?
La mia ricerca non intende scardinare i dogmi della pittura figurativa, bensì rivisitarne ed esplorarne le potenzialità, distorcendo e sintetizzando ambivalentemente i soggetti che storicamente ne costituiscono i principali interlocutori: la figura umana e il paesaggio.
Cosa vuoi?
Trovo difficile imporre un percorso predefinito a un linguaggio pittorico che, pur nella piena consapevolezza, mi trascina autonomamente verso mete sempre nuove. Mi ritrovo così a diluire progressivamente la dimensione narrativa del disegno in una crescente attenzione per le prerogative dettate dall'utilizzo di colori, materiali e supporti sempre diversi. Attualmente sto lavorando a una serie di opere su tavole di abete, che mi consentono di dialogare con un supporto dotato di una configurazione morfologica e simbolica assolutamente peculiare. In futuro vorrei proseguire tale discorso, allargando ulteriormente il bacino dei materiali, delle tecniche e dei soggetti con cui confrontarmi.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso