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Matteo Fato - Copertina n.365

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Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.

Questa settimana è la volta di Matteo Fato

 

 

Da dove vieni?

Sono nato a Pescara nel 1979, dove attualmente vivo e lavoro; ho studiato Pittura presso l’Accademia di belle Arti di Urbino, dove da circa 5 anni ho avuto la fortuna di poter tornare come docente di Tecniche dell’Incisione, Disegno Contemporaneo/Monotipo e Tecniche di Doc. Audiovisiva (una materia che abbiamo attivato da 2 anni che si concentra sulla documentazione totale delle opere prodotte dagli studenti in un Portfolio). Nella mia formazione sono state molto importanti, oltre all’Accademia stessa, le esperienze di lavoro all’estero in occasione di progetti di residenze (Francia, America e Norvegia). Ovviamente anche il dialogo con altri interlocutori, artisti e non, resta fondamentale.

 

Cosa fai?

La mia ricerca si è da sempre concentrata sull’analisi di un’intesa tra immagine e parola, sul momento appena prima che il segno diventi linguaggio riconoscibile. Un “bilico” rappresentativo in cui il segno viene addomesticato e disciplinato affinché possa trovare posa sul limite della realtà. Detto questo in realtà dipingo e basta.

 

Dove stai andando?

Principalmente ho sempre lavorato attraverso l’utilizzo del disegno, della pittura, dell’incisione e del video. Negli ultimi progetti sviluppati ho avuto modo di confrontarmi con materiali prima considerati solo semplici supporti o strutture, che tendono ora a divenire linguaggio; trovando espressione in una progettualità site-specific. Ma dove sto andando non voglio saperlo sinceramente, o comunque spero di non esserne mai troppo sicuro.

 

Cosa vuoi?

Lo studio di L. Wittgenstein iniziato alcuni anni fa mi ha aiutato a rileggere le “parole” scritte durante il mio percorso che avevo lasciato tra parentesi e a rivalutarle: per trovare una nuova dimensione “rallentata” nell’osservazione delle “cose” e dello spazio, cercando di inserire i naturali segni di interpunzione di cui il mio linguaggio aveva bisogno.

Citando lo stesso Wittgenstein “Con i miei numerosi segni d’interpunzione, ciò che in realtà vorrei è rallentare il ritmo della lettura. Perché vorrei essere letto lentamente.”. Questo mi ha aiutato a capire che i linguaggi dell’arte rappresentano, in un certo senso, la punteggiatura della vita, e ci aiutano a rallentarne “la lettura”, quindi a riflettere meglio su di essa.

Quello che cerco di rappresentare è un tentativo di mettere in scena un allestimento per la pittura. Una natura morta del linguaggio, una “cosa naturale” della parola, per chiamare in causa Vasari. Insomma, quello che voglio è poter continuare a lavorare: è la pittura che mi fornisce “parola”, altrimenti sarei muto. E’ durante la pittura che la parola prende forma.

 

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

 

 

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Ryts Monet - Copertina n.364

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Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.

Questa settimana è la volta di Ryts Monet.

 

 

Da dove vieni?

Sono nato a Bari 33 anni fa. Sono cresciuto a Lignano Sabbiadoro in Friuli e mi sono formato allo IUAV di Venezia, dove ho studiato Arti visive e comunicazioni visive.

 

Cosa fai?

Utilizzo dal collage all’installazione, ma anche la fotografia e più raramente il video o il suono; insomma non sono legato a un medium specifico. Per alcuni progetti ho realizzato eventi o concerti. Mi affascinano i simboli, le sottoculture, le derive geografiche, il degrado e l’immaginario legato allo spazio interstellare. Nei miei lavori cerco di creare dei percorsi concettuali, narrativi o di guidare lo sguardo di chi osserva attraverso gli elementi che compongono il lavoro, cercando di lasciare però una libertà associativa rispetto alle stratificazioni presenti nei miei progetti. Ultimamente ho lavorato su piccole serie che costruisco secondo una coerenza di linguaggio o di ricerca.

 

Dove stai andando?

L’aspetto forse più peculiare del mio lavoro sta proprio nella volontà di non pretendere una rigida continuità formale. Ci sono delle costanti, ma a volte il mio approccio può generare uno straniamento, o così mi piace pensare, dal momento che mi muovo tra media, riferimenti e linguaggi eterogenei. Seguo il mio ritmo, lasciando al tempo il compito di amplificarlo.

 

Cosa vuoi?

Quello che probabilmente qualunque artista desidera. Lascio a chi legge la libertà di interpretazione.

 

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

 

 

Adriano Annino - Copertina n.363

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Da dove vieni ?

Sono nato a Napoli nel 1983, cresciuto a Senigallia e ad Arezzo. Ho una formazione umanistica, un diploma in tromba, una laurea in discipline della musica e dello spettacolo, con una tesi in filosofia della musica sul pezzo silenzioso 4'33'' Tacet di John Cage. Mi sono trasferito a Milano nel 2013, dove tuttora vivo e lavoro.

 

Cosa fai?

Pur sapendolo con esattezza, nel lavoro mi domando quale sia la relazione tra me e la pittura utilizzando più soggetti, anche autobiografici. Studio in modo non prevedibile immagini e problemi che cerco con rigore, trascinandoli dentro il lavoro attraverso una sintesi legata anche al segno.

 

Dove vai?

So perfettamente dove andare, tuttavia mi è impossibile definire la direzione del mio percorso e descriverlo. Nel racconto sono sicuro di esserci, riesco anche a vedermi dall'esterno e a concedermi di sparire. Lo stesso riguarda la pittura, la possibilità che essa sia confusa con altri medium e attivata dallo e nello spazio.

 

Cosa vuoi?

Quello che voglio comunicare è che: "abbi pazienza ma piango perché mi sarebbe piaciuto e sarei stato in grado di essere divertente e di farti star bene, se non fosse che mi piaccia così tanto cercare giustificazioni". Non mi interessa che nel mio lavoro vi sia o no un'intenzione, che io vi sia per forza o per forza non ci sia. Mi piace utilizzare i concetti di responsabilità e alibi, il pensiero, la filosofia e la religione, includendo scarti della rete, per innescare più riflessioni contemporaneamente, ad esempio il fatto che sia illogico, falso e anche di cattivo gusto concludere che la realtà, la verità e la bontà siano per forza tutte una questione dal principio.

 

 

Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.

Questa settimana è la volta di Adriano Annino

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

 

 

Francesco Tagliavia - Copertina n.362

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Francesco Tagliavia

Aglio e Olio

2015

 

Tratto secco, spigoloso e conciso. I disegni di Francesco Tagliavia aka Cutway (Palermo, 1985) sono sberle a mano aperta, motivi e figure in bianco e nero che tanto richiamano l'estetica punk e la cultura do-it-yourself anni Ottanta.

Ognuna di queste tavole, realizzate dall'artista su carta attraverso l'utilizzo di penne a biro e matite, si presenta come una evocativa quanto ambigua sintesi di elementi legati all'immaginario pop contemporaneo. È così che sport, TV, sesso e religione convivono, all'interno di un minestrone cinico e sarcastico, in cui ogni pezzetto di mondo viene sottratto e reinterpretato dall'artista con assoluta spontaneità.

Il risultato è un insieme di enigmatici e pungenti agglomerati di elementi spesso apparentemente lontani tra loro ma perfettamente incastrati nell'insieme. L'effetto monocromatico e il carattere minimale dei lavori donano inoltre forza alla composizione, rendendo ognuna di queste illustrazioni dei piccoli episodi caustici e graffianti; come fotogrammi diversi di un'unica dissacrante pellicola.

 

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

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Sara Siami - Copertina n.361

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Sara Siami

Venice

 

 

I grandi acquerelli di Sara Siami (Gonbad-e Kāvus, Iran, 1979) sono una fuga dal reale: battaglie navali, dragoni, infinite spirali di elementi naturali e animali, mischiati in una bolgia incantevole dove tutto inizia e tutto finisce. Cicli vitali, fughe rocambolesche, fiori profumati, fiori del male: tutto sembra coincidere nella testa dell'artista, che come in un flusso creativo reinterpreta su carta le sue private fantasie.

Non c'è un tema chiaro nelle opere di Siami, difficile intuire uno statement esaustivo che racchiuda e descriva appieno la sua ricerca. Ogni lavoro ha piuttosto l'aspetto di un grande contenitore naïf, in cui realtà e finzione si mischiano in una visione poetica e magica del mondo.

Nonostante l'uso dei colori accesi e sgargianti la ricerca dell'artista è infatti sempre caratterizzata da una inquieta tensione tra estremi: vita e morte si incontrano, attraverso la presenza di elementi simbolici sacri; la natura -sempre presente- rivela inoltre il suo duplice carattere di madre e traditrice, attraverso la presenza di animali bizzarri e creature irreali che affollano la scena.

In questo modo il male si confonde col bene, le paure divengono spettri quotidiani con i quali convivere, e l'amore sembra l'unica forma di resistenza. Perché non c'è pace, e forse non ci sarà mai, ma tanto vale combattere i mostri: di munizioni siamo carichi, di immaginazione pure.

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

Sara Siami
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Sara Siami
Sara Siami
Sara Siami
Sara Siami
Sara Siami
Sara Siami
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Sara Siami

Dario Carratta - Copertina n.360

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Dario Carratta

Il mio cane si chiama Newton

oilo su tela 160 x 150 cm

2014

 

Piccoli tormenti, delusioni, gioie e rivoluzioni quotidiane. Nelle opere di Dario Carratta (Gallipoli, 1988) si nasconde un microcosmo di inquietudini giovanili, trasportate dall'artista sulla tela attraverso la rappresentazione di personaggi grotteschi e dalle sembianze inumane.

Ognuno di questi protagonisti, immerso in ambientazioni sempre cupe e al limite del reale, diventa il riflesso di una condizione di smarrimento e perdizione: è la sensazione di rabbia&dolcezza vissuta da ogni adolescente, alle prese con un mondo esteriore a volte asfissiante e rivale; “Nei miei lavori” dice l'artista “indago gli aspetti più profondi e torbidi della mia generazione”.

Spesso molto materico, Carratta si esprime attraverso l'uso di colori ad olio violenti e vivi, dosati sulla tela a volte attraverso interventi secchi e sporchi che valorizzano il segno, tali altre attraverso pennellate morbide, luminose, che creano leggerezza e rendono raffinata la scena. Le linee sinuose e continue di alcuni dipinti, inoltre, donano carica psicologica all'ambientazione, traducendo i tormenti interiori in effetti cromatici vividi, violenti, e per questo estremamente attraenti.

Il risultato è un insieme di paesaggi selvaggi, panorami deserti e lugubri sui quali affacciarsi senza una precisa collocazione, come in un film di Tim Burton o durante l'ascolto di un disco dei Sonic Youth. Nonostante l'aspetto nostalgico e malinconico, tutto è ad ogni modo filtrato da un gusto sempre molto grafico e illustrativo, cosa che rende ognuno di questi lavori tanto immaginifici quanto potenti, delicati e ruvidi allo stesso tempo.

 

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

 

La vita notturna dei crostacei, 2015 - olio su tela, 150 x 100 cm
La notte dei tulipani, 2014 - olio su tela, 150 x 150 cm
BAcon Motel, 2013 - acrilico su tela, 250 x 230 cm
Black Rain, 2014 - oilo su tela, 70 x 50 cm
DrugStore way, 2014 - olio su tela, 150 x 100 cm
 Ambra di notte, 2015 - olio su tela, 50 x 40 cm

Leeza Hooper - Copertina n.359

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"Io non cerco di decifrare la realtà, di interpretare la natura, faccio solo attenzione, mi allarmo, non mi armo, che è diverso. Mi armo di varie 'code', per non dire antenne. Code come antenne primordiali, una pinna di pesce, una coda di cane, attraverso le quali puoi veramente cogliere le cose, le emozioni, e accenderti. Il problema non è nel riuscire ad 'acchiappare' le cose, che può anche riuscirti, ma se poi non ti accendi?" (Enzo Cucchi)

 

Difficile da identificare Leeza Hooper (Roma, 1980), ambiguo fin dal nome. Partendo da forme ed icone legate all'immaginario pop contemporaneo, l'artista realizza composizioni che esaltato il segno e liberano il gesto, definendo una ricerca al limite tra urban art e grafica digitale low-fi.

Affascinato tanto dalla street-art quanto dal minimalismo, tanto dalla figurazione folk quanto dalla pop culture nella sua accezione più ampia, Leeza si presenta come un visual composer armato di matita, penna biro e tavoletta grafica. I suoi lavori, agglomerati di elementi sparsi sul supporto in modo apparentemente confuso, si presentano come sintesi di interventi gestuali dinamici, inquieti, isolati tra di loro ma compiuti nell'insieme. È il segno, dunque, ad essere esaltato, denominatore comune all'interno delle differenti opere.

Ogni lavoro (che sia su carta, su tela, o su foglio elettronico Microsoft Paint) appare in questo modo come una tabula rasa su cui elementi diversi vengono sottratti e accumulati, rispondendo all'impulso di sollecitazioni emotive disparate, caotiche, e non sempre aperte ad una lettura coerente e definitiva. L'osservatore, per tali ragioni, diventa destinatario ammesso ed escluso dalla lettura, ospite accolto e respinto nel mondo dell'artista.

 

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

 

Leeza Hooper art
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Giacomo Giovannetti - Copertina n.358

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Giacomo Giovannetti

Bioculture

 

 

Il percorso artistico di Giacomo Giovannetti (Senigallia, 1983) è un mash-up di pulsioni creative: dalla pittura al collage, dalla street-art alla grafica, l'artista marchigiano preleva icone e forme della cultura contemporanea occidentale, intervenendo su di esse attraverso l'aggiunta di elementi orientali e accenni grafici dalla forte valenza mistico-religiosa. Il risultato è un insieme di complesse architetture visive in cui ogni tassello, affastellato sul supporto in modo apparentemente confuso, diviene il rimando formale ad una insaziabile ricerca di vita e di armonia interiore, di cui l'arte è testimone.

La sacralità dei riti primordiali, la nascita, il corpo e la sessualità, sono solo alcuni dei temi che ricorrono nelle opere dell'autore. Giovannetti, evidentemente affascinato tanto dalla cultura pop quanto dall'antropologia e dalla teologia pagana, agisce come un dj del visuale, approfittando appieno della cultura globale e delle sue possibilità: estrapolando le icone dal proprio contesto di appartenenza e reinterpretandone il senso, l'artista si palesa come operatore eclettico, campionando elementi spesso incongrui e distanti, in un sampling continuo ed incessante in cui gli opposti si incontrano e convivono.

In questo modo l'immagine - ponte di congiunzione tra il mondo interiore dell'artista e l'esperienza collettiva universale - diviene un archivio in evoluzione, campo neutro in cui gli elementi si mescolano e si moltiplicano dando forma a contenuti sempre inediti e vivi.

 

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

 

 

Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti

Juan Eugenio Ochoa - Copertina n.357

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Juan Eugenio Ochoa

Lirica Analitica (Serie) 2015

olio su tela, 100x70 cm

 

 

Mi domando da dove vengano queste ombre colorate che ogni tanto accendono la mia mente, cosa mi spinge a tentare di dare forma e pienezza a ciò che a volte temo sia un puro fantasma.” (Claudio Olivieri)

 

Il pittore ritorna ad essere colto, si riappropria degli strumenti che gli competono, si attrezza di tecnica e intelletto per affermarsi sotto una nuova autonomia. Quella di Juan Eugenio Ochoa (Medellin, Colombia, 1983) è una ricerca per certi versi “anacronistica”, lontana dalle tendenze del contemporaneo, distante dalle ansie di visibilità e dagli ego-trips dei nostri tempi. Ad alimentare il percorso dell'artista colombiano con base a Milano è piuttosto una rinnovata attenzione per il fare pittorico, espressa attraverso l'elaborazione di dipinti su tela fedeli alle procedure tradizionali della pittura a olio.

Mettendo in risalto il carattere sfuggente dell'immagine, Ochoa crea opere in cui spazio astratto e forma umana convivono, l'uno necessario alla sussistenza dell'altro. Sezionate   attraverso la sovrapposizione di tenui velature cromatiche, le immagini si palesano sul supporto come frammenti di memoria: è così che volti di donna ed elementi corporei vengono appena accennati sulla tela, registrati dall'artista per poi esser lasciati liberi di dissolversi in un'atmosfera sognante e rarefatta.

L'opera diventa in questo modo luogo di sintesi costruttivo, spazio lirico in cui la figura afferma il suo carattere mutevole, sospesa tra realtà oggettiva e ricordo. In questa interazione tra versante astratto e pulsioni figurative, l'artista diviene mediatore, poeta errante in cerca di una collocazione tra mondo immaginifico e mera realtà.

 

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

 

Juan Eugenio Ochoa
Juan Eugenio Ochoa
Juan Eugenio Ochoa
Juan Eugenio Ochoa
Juan Eugenio Ochoa