Agnieszka Polska
still frame from Correction Exercises (2008)
“Ritenere che i rari eventi e le rare opere che si sono conservate del passato siano necessariamente la parte migliore e la più importante del pensiero di quei secoli, è un'idea ingenua. La loro conservazione è semplicemente dovuta al fatto che un piccolo cenacolo le ha scelte ed esaltate eliminando tutte le altre.” (Jean Dubuffet)
Agnieszka Polska (Lublin, 1985) realizza video, animazioni e fotografie. Concependo la storia dell'arte come un insieme di eventi arbitrariamente selezionati dalla cultura dominante, la maggior parte delle sue opere considera il carattere fittizio e ingannevole del passato. In particolare, gran parte dei lavori dell'artista polacca prevede una decisa presa di posizione nei confronti dell'attività critica e documentaristica: quanto conosciamo dell'arte passata, se non ciò che il sistema culturale istituzionalizzato ha deciso di conservare, ritenendo degno di attenzione? E quanto materiale, d'altra parte, non ci è mai pervenuto perché non ritenuto meritevole di considerazione e di memoria?
Partendo da queste premesse, le esplorazioni visive di Agnieszka Polska indagano i buchi neri e le omissioni della storia dell'arte, con particolare riguardo verso il periodo neo-avanguardista polacco. È il caso, per esempio, del film The Garden (2010), in cui l'artista propone la storia di Paweł Freisler, meteora dell'arte polacca scomparsa dalle scena artistiche alla fine degli anni Settanta. Similmente, Sensitization to Colour (2009) è un documentario sulla figura di Włodzimierz Borowski, performer attivo a partire dagli anni Sessanta. L'obiettivo di quest'ultimo film è quello di dimostrare la possibilità di una narrazione fallace e distorta degli eventi storici: aggiungendo dettagli, deformando la ricostruzione dei fatti, sottraendo e integrando immagini improprie, Agnieszka Polska ricorda la necessità di considerare la documentazione storica entro i limiti dell'errore, dimostrando come tempo e memoria siano aspetti labili e facilmente suscettibili di fronte alla reale visione degli eventi.
Da un punto di vista formale, ogni video si esprime con eleganza, curato con sottigliezza sotto ogni aspetto tecnico e visivo. Le immagini si sovrappongono intelligentemente, estratte da archivi storici e illustrazioni d'epoca, sottoposte ad interventi sottili e trapiantate con dimestichezza dentro nuovi contesti. Malinconico, evocativo e poetico, ogni video è così un omaggio al passato (effettivo o ipotetico); un processo nostalgico in cui rendere reale anche ciò che non è mai avvenuto.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Agnieszka Polska, Future Days, 2013
Agnieszka Polska, My Favourite Things, 2010
Agnieszka Polska, The Garden, 2010
Agnieszka Polska, The Forgetting of Proper Names, 2009
Agnieszka Polska, Sensitization to Colour, 2009
Maciej Ratajski
Bad Art Is Art Bad
L'attività artistica di Maciej Ratajski (Varsavia, 1985) si inserisce in quel solco segnato, a partire dalla fine degli anni Settanta, da autrici come Barbara Kruger o Jenny Holzer, artiste in grado di deviare da ogni necessità di rappresentazione della realtà, decise ad abbandonare i supporti tradizionali dell'arte per abbracciare tecniche più propriamente legate al mondo della grafica e della comunicazione pubblicitaria. A queste istanze postmoderne, a cui innegabilmente sembra ricondursi l'attività dell'artista polacco, si aggiunge tuttavia una forte attitudine legata alla cultura visuale post-net, alla quale Ratajski fa ricorso, aguzzando il pensiero e indirizzandolo verso una (brillante) critica nei confronti dell'immagine artistica contemporanea.
Partendo da istanze filosofiche e concettuali, Maciej Ratajski arriva a realizzare opere dalla forte capacità comunicativa; lavori che partono dal linguaggio, dalla forza della parola e dalla sua abilità nel veicolare messaggi.
Tali opere tuttavia, se da una parte sembrano chiamare in causa in prima persona l'osservatore, sottoponendogli enigmi linguistici e logici che invitano ad una interpretazione, dall'altra escludono lo stesso, limitandone il ruolo, regalandone la funzione a quella di lettore inerte di fronte a quesiti labirintici e senza soluzione. In questo modo l'evento artistico diventa una rivelazione sterile, tutt'altro che illuminante, e che soprattutto non accetta mediazioni. Una sorta di inganno visivo, dunque, che tiene in sospeso la figura dell'autore (nascosto dietro messaggi neutri e anonimi) e quella del lettore-fruitore, forzato a confrontarsi con un ventaglio di locuzioni solo apparentemente dialettiche.
Mettendo in dubbio il ruolo dell'osservatore così come la funzione dell'autore, ponendo l'accento sull'influenza esercitata sull'opera da parte del sistema mediale circostante e sulla necessità di ridefinire i rapporti col pubblico, Ratajski pone nuovo senso ad un quesito tanto antiquato quanto -mai come oggi- attuale: di cosa parliamo quando parliamo di arte?
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Luca De Angelis
Pioneer, olio su tela
160x120 cm
2014
“Dire al pittore che la natura va presa com'è, è come dire al pianista che può sedersi sul pianoforte”. James Abbott McNeill Whistler
La ricerca artistica di Luca De Angelis (Ascoli Piceno, 1980) è un omaggio incondizionato alla pratica pittorica. Frammenti del mondo sensibile vengono catturati dall'artista e trasportati sulla tela, abbandonando ogni elemento narrativo per aprirsi a situazioni più enigmatiche ed evocative.
I dipinti si presentano con dimensioni variabili, rimanendo tuttavia sempre fedeli all'intenzione principale attorno cui si è costruita l'attività dell'artista marchigiano negli ultimi anni: ricercare il senso più profondo e primigenio delle immagini, realizzando un inedito contatto tra mistero e quotidianità all'interno dello spazio delimitato della tela.
Estratti e rielaborati attraverso un processo fortemente intellettuale e poetico, questi elementi sensibili del reale (che si tratti di vedute en plein air o foto documentaristiche estratte dal web) vengono riproposti e reinterpretati sul supporto attraverso un disvelamento di significati che ne preserva la memoria ma ne apre il senso. In questo modo nature, paesaggi e personaggi enigmatici, vengono selezionati e dipinti, costretti dall'artista ad abbandonare la propria compiutezza per aprirsi a nuove possibilità interpretative.
Vivo e tangibile è inoltre l'uso del colore, dosato con eleganza in composizioni a volte più figurative, tali altre più espressioniste e “immaginative”, capaci di partire dalla figura per poi superarla intelligentemente aprendola verso nuove realtà.
Copertine settimanali di Lobodilattice, a cura di Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Alfano
Odissey, 2012
tecnica mista su tela
220x200 cm
C'è un mondo bizzarro da qualche parte, fatto di Puffi, arcobaleni e mostri dalle sembianze improbabili. Nel mezzo di questo paradiso trash-pop, in cui i colori si accendono e i nonsense prevalgono, c'è Alfano (Lodi, 1981).
Artista eclettico - un po' illustratore, un po' pittore, un po' street artist – Alfano parte dal contesto dei graffiti, da cui negli anni si evolve, alimentando sempre più un approccio al disegno gestuale e alla spontaneità del tratto. I suoi lavori, dal profondo spirito ludico, sono mix esplosivi e dinamici in cui icone mediatiche, supereroi deformati e personaggi legati alla memoria collettiva, convivono alternandosi a situazioni più personali e connesse all'artista.
In questo mondo delirante, sempre surreale, grezzo e primitive, Alfano si muove adoperando carta, tele e soprattutto muri. La valenza “street” occupa infatti uno spazio importante nella sua ricerca, cartina di tornasole della sua poetica: passando dalla matita agli sprays, l'artista trasferisce sulle grandi superfici della città i suoi personaggi, popolando gli spazi urbani di forme e colori che invitano l'osservatore a prendere atto di una realtà liquida, in cui le immagini regnano e i significati si mescolano senza razionalità.
Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Leonardo Petrucci
Misandria#1,
104 x 255,5 cm,
grafite e pastello su tavola
courtesy of Galleria Operativa Arte Contemporanea (2014)
“Uomini. Insetti che si divorano gli uni con gli altri sopra un piccolo atomo di fango.” (Voltaire)
Una ricerca artistica completa, quella di Leonardo Petrucci (Grosseto, 1986), fatta di studio teorico e di competenza tecnica. Partendo da un approccio matematico-scientifico, l'interesse di Petrucci si concentra intorno a tematiche dalle forti connotazioni mistiche e simboliche, come la Geometria Sacra, l'Alchimia, la Cabala e l'Astrologia. Questi argomenti vengono affrontati e riproposti dall'artista attraverso una varietà di forme che toccano tanto la sfera pittorica quanto quella scultorea, installativa, e perfino digitale.
Partendo da tali premesse, decisamente concettuali, la realizzazione di ogni opera diviene pertanto l'episodio ultimo di un processo creativo articolato, anticipato sempre da una meticolosa e sistematica ricerca teorica, fatta di osservazioni e approfondimenti sugli oggetti di studio che l'artista decide di indagare.
Interessante anche l'approccio al disegno da parte dell'autore. A tal riguardo sembra evidente la volontà di omaggiare la tradizione artistica classica toscana (dalla quale Petrucci proviene), attraverso la realizzazione di disegni a matita impeccabili, attenti alla dimensione anatomica, e soprattutto sempre motivati da una necessità scientifica di fondo.
Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
Annabella Cuomo
Il primo amore non si scorda mai#1
tecnica mista su carta, 20 x 30 cm
2014
“Voglio un mondo in cui la vagina sia rappresentata da un taglio crudo e onesto, un mondo che provi sentimenti per le ossa e i contorni, per colori crudi e primari, un mondo che abbia paura e rispetto per le proprie origini animali.” (Henry Miller)
Passato e presente che convivono, si scambiano di posto, accorciando le distanze fino a farsi tutt'uno. È una danza romantica di reminiscenze, quella che nasce dalle opere di Annabella Cuomo (Brindisi, 1985), artista raffinata che sviluppa la sua ricerca sul recupero e la rielaborazione di immagini personali passate. Attraverso la riscrittura di vecchie foto in bianco e nero, l'artista indaga i limiti della nostra coscienza, messa alla prova dallo scorrere corrosivo del tempo e dalla sua azione fagocitante.
Elegante e accurato, l'intervento della Cuomo si realizza principalmente su foto di famiglia, reperti d'infanzia sottratti alla propria storia e messi a nudo per divenire archetipi universali di una memoria condivisa. Su tali frammenti visivi l'artista agisce mediante l'uso di grafite e pennarelli. In questo modo chiazze ed ombre scure invadono la composizione, volgendo ogni interpretazione verso territori ambigui e a tratti inquietanti.
Risultato simile, ma realizzato mediante soluzioni tecniche diverse, è quello raggiunto dalle sovrapposizioni analogiche di fotografie: in esse immagini paesaggistiche e figure di persone si incontrano e coesistono nello stesso scenario, dissolvendosi l'uno dentro l'altro fino a diventare visioni spettrali di una storia lontana, passata, o forse mai avvenuta.
Alex Urso
Se fosse una canzone suonerebbe così:
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